Salvatore Ferrari

Iniziative in difesa del Carcere di Trento.

data: 
Giov, 05/07/2007

 

Questa mattina (5 luglio) Salvatore Ferrari, vicepresidente della sezione trentina di Italia Nostra, ha incontrato a Verona l’architetto Maria Grazia Martelletto, funzionario della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Verona, alla quale ha consegnato i 2 dossier – in merito alla salvaguardia del vecchio carcere di Trento – elaborati rispettivamente da Italia Nostra e dalla delegazione di Trento del FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano).

Il 16 maggio scorso, infatti, dopo la nostra segnalazione, il dott. Renato Costa, direttore del Servizio Patrimonio architettonico e affari generali della Direzione Generale per i Beni architettonici e paesaggistici (Ministero per i Beni e le Attività Culturali), con una nota (prot. n. 9316), aveva chiesto alla Soprintendenza di Verona di effettuare gli “accertamenti di competenza” in merito alla “decisione assunta dalla Provincia Autonoma di Trento di demolire il complesso carcerario – la cui costruzione risale alla seconda metà dell’800 – al fine di costruire nella stessa area la nuova sede unificata per gli uffici giudiziari”.

Il 16 giugno scorso, invece, Paolo Mayr, presidente della sezione trentina di Italia Nostra, ha consegnato all’addetto stampa del Ministro di Grazia e Giustizia, on. Clemente Mastella, la documentazione raccolta in questi mesi sulla vicenda. Sono in corso, inoltre, alcuni approfondimenti legali per verificare la legittimità e la correttezza delle determinazioni della Commissione Beni Culturali e del Dirigente del Servizio Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento, emesse tra il 1993 e il 2003.

Due sono, in particolare, le questioni aperte:
• la verifica della competenza in materia di tutela, conservazione, valorizzazione del patrimonio storico, artistico, ecc.. delle strutture provinciali nel caso di beni immobili, come il carcere di Trento (p.ed. 1271/2, C.C. Trento, P.T. 2462), di proprietà del DEMANIO dello STATO;
• il rispetto del comma 1 dell’articolo 3 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Leg. 42/2004), dove si parla della necessità di “un’adeguata attività conoscitiva” per la verifica dell’interesse o del non interesse storico-artistico di un bene.

Nel nostro caso i provvedimenti amministrativi rilasciati dalle strutture e dagli uffici provinciali sono privi di una relazione storico-artistica con le motivazioni relative al “non interesse storico-artistico” del carcere. E’ nostra intenzione, infine, chiedere al COMUNE di TRENTO, e in particolare alla Commissione Edilizia Comunale, di non rilasciare alla Provincia la concessione edilizia finalizzata alla demolizione del carcere.

Nei prossimi mesi, infatti, sarà depositato presso gli uffici e i servizi comunali il progetto definitivo relativo alla realizzazione del Nuovo Polo Giudiziario, elaborato dal gruppo di professionisti – guidato dall’architetto Pierluigi Nicolin – che ha vinto il concorso internazionale bandito dalla PAT nel 2005.

Per la Sezione Trentina di Italia Nostra
Il Presidente ing. Paolo Mayr
Il Vicepresidente con delega per i beni cultural dott. Salvatore Ferrari

Trento, 5 luglio 2007

In difesa del complesso carcerario di Trento - Osservazioni e considerazioni

data: 
Lun, 28/05/2007

 

Già nello scorso anno siamo stati sollecitati ad intervenire contro la demolizione del complesso carcerario di Trento.
Anche se a prima vista, con la sola osservazione esterna, questa opposizione appariva condivisibile, Italia Nostra, come è solita, fece i necessari approfondimenti prima di esprimere qualsiasi giudizio: - richiese chiarimenti alla Soprintendenza Provinciale per i Beni architettonici, che affermò nella Sua lettera del 21 maggio 2007 che la Commissione Beni Culturali già nel 1993 aveva riconosciuto il non interesse storico-artistico del complesso delle carceri, per cui si era ritenuto di non dover entrare nel merito della demolizione prevista dalla Provincia - effettuò un sopralluogo all’interno dell’edificio stesso, assieme al dott. Salvatore Ferrari, il 15 c.m. - esaminò la rassegna stampa e lo studio sul palazzo di giustizia e sul complesso carcerario di Trento, redatto dall’arch. Luca Beltrami - parlò con il responsabile del progetto ing. Alessandro Zanoni

Da tutte queste indagini e riscontri sono derivate le seguenti osservazioni e considerazioni: La Soprintendenza ai Beni architettonici e la Provincia di Trento, Ufficio Grandi Opere, hanno decretato la demolizione del complesso delle carceri, pur essendo questo coevo e parte integrante di uno stesso edificio monumentale, di caratteristiche architettoniche pregevoli e di valore storico, il tutto documentato nell’archivio storico del Comune di Trento ed il cui pregio, anche a distanza di ca. 130 anni di scarsa manutenzione, è evidente a chiunque abbia un minimo di sensibilità e di conoscenza di architettura, di tecniche costruttive e di materiali. Costruzione di impianto molto potente, in severo stile neoclassico, di grande semplicità, con pianta a tridente, accostata al lato est del tribunale. Estesa su tre piani utili, più un piano interrato.

Percorrendo i lunghi corridoi e visitando vari vani che su questi si affacciano, si rimane impressionati dalla forza degli elementi murari e dalla maestria costruttiva: murature di grosso spessore, soffitti a volta, rinforzati da arconi, pavimenti in lastroni di pietra trentina, pilastroni in pietra; notevole lo spazio centrale sul quale si affacciano due ordini di celle su ciascun lato con ballatoi in pietra di grosso spessore sorretti da potenti mensole in pietra, ben illuminato da alcuni lucernari zenitali e da un ampio finestrone sul lato ovest; perfino il piano interrato dimostra una notevole cura costruttiva e funzionale con pavimentazione centrale in pietra e laterali in selciato; illuminamento e areazione da lucernari e bocche di lupo; dai disegni di archivio è desumibile che anche la carpenteria lignea sia di rilevante valore. Infine al centro del lato est, estesa dal 1° al 2° piano vi è un’ampia chiesa di stile eclettico, con alto soffitto voltato, illuminata da tre finestroni absidali e da un ampio lucernario zenitale, ricca di pregevoli elementi di arredo. Tutto questo complesso verrebbe distrutto, perso irrimediabilmente, riteniamo per l’ignoranza dei valori in esso contenuti.

Infatti l’assenso alla visita non è facile ed è quindi probabile che chi ha deciso la demolizione non abbia mai percorso quei corridoi; lo stesso arch. Luca Beltrami nel suo studio non entra nel merito dei pregi costruttivi/architettonici rilevabili visitando l’interno. E’ da notare inoltre che la consistenza strutturale è straordinaria; durante la visita è stata individuata una sola lesione; il comfort interno è irraggiungibile nelle costruzioni moderne; la possibilità di riutilizzo è concreta; l’area verde o occupata da costruzioni di nessun pregio è ancora molto ampia. E infine è da ricordare che il complesso carcerario rispetto al palazzo di giustizia ha subito molte meno modifiche rispetto al progetto originario, praticamente l’impianto antico è perfettamente leggibile. Esso rappresenta quindi una testimonianza unica dell’architettura ministeriale e dei sistemi costruttivi dell’epoca. In tal modo verrà irrimediabilmente mutilato il complesso architettonico e storico Tribunale – Polo carcerario, nato come unico intervento progettuale, costruttivo ed esecutivo.

Il Presidente della Sezione Trentina di Italia Nostra onlus

dott. ing. Paolo Mayr

Trento, 28 maggio 2007

 Aggiornato il 8 giugno 2007

Il cemento flessibile.

data: 
Ven, 21/12/2007

 

Intervista pubblicata su “CartaQui EstNord” (p.7)
supplemento del settimanale “Carta: cantieri sociali”
21 dicembre 2007 (n. 45)

di Roberto Antolini

Il Trentino ha una lunga tradizione di avanzate sperimentazioni nel campo degli strumenti urbanistici. Risale al 1964 la prima legge di governo complessivo del territorio, e nel 1967 è arrivato il primo Piano urbanistico provinciale [Pup]. Ma ciononostante [evidentemente la teoria non era stata praticata nel modo migliore] nel 1985 avviene il disastro di Stava: crollano i bacini di un impianto industriale e travolgono 268 persone.

Una ondata di riformismo ambientale ha investito in un primo tempo la Provincia autonoma di Trento, e nel quinquennio 1988-1991 – dopo la revisione del Pup votata nel 1987 – è stato votato un pacchetto di leggi avanzate sulla tutela del territorio. Ma è durata poco, e gli esiti raggiunti sono stati un po’ svuotati da una gestione accomodante.

“Mancò nella legislatura prodotta – dice oggi l’assessore all’ambiente di allora Walter Micheli – una regola essenziale, quella in grado di tutelare le previsioni del piano dalle eversive rivendicazioni dei localismi diffusi che erodevano la possibilità di raggiungere gli obiettivi del piano”. L’attuale giunta Dellai ha spesso dimostrato un fastidio sostanziale per le norme di tutela, finendo l’opera di svuotamento con una proposta di revisione del Pup tutta imperniata sul criterio della “flessibililizzazion”, dove alle nobili premesse teoriche rischia di corrispondere uno svuotamento dall’interno della normatività stessa degli strumenti urbanistici.

Ne parliamo con Salvatore Ferrari, vicepresidente di Italia Nostra trentina.
Italia Nostra è critica con questa revisone del Piano Urbanistico Provinciale (PUP) del Trentino, perché?

Questo terzo PUP arriva con quasi 10 anni di ritardo. Il PUP del 1987 doveva avere durata decennale, e quindi negli anni 97/98 si sarebbe dovuto farne un bilancio, da cui trarre le indicazioni per la revisione. La revisione invece arriva solo oggi, con l’adozione definitiva da parte della Giunta Provinciale lo scorso 7 settembre, mentre all’inizio del 2008 il PUP passerà in Consiglio Provinciale per l’approvazione finale.

Parallelamente la Giunta ha presentato un disegno di legge di revisione della legge urbanistica provinciale, che ridefinirà gli strumenti di pianificazione e governo del territorio. Quella in vigore fu approvata nel 1991 e aveva tra i punti fondanti il trasferimento di alcune competenze urbanistiche ai Comuni, togliendole ai Comprensori – enti amministrativi intermedi – che l’avevano gestite a partire dagli anni Settanta.
Agli inizi degli anni ’90 la soppressione dell’ente comprensoriale sembrava imminente e quindi si era pensato di passare ai Comuni queste deleghe, però con un obiettivo che – ahimè – non è andato in porto: la pianificazione urbanistica sovracomunale. Purtroppo sono stati pochissimi i piani regolatori generali intercomunali! Dopo 16 anni di applicazione della L.P. 22/1991 credo si possa evidenziare il fallimento di questo esperimento.

Gran parte dei comuni trentini, soprattutto i più piccoli, privi di competenze specifiche, di strutture tecniche adeguate, ma anche di cultura della pianificazione urbanistica, non hanno certo favorito uno sviluppo sostenibile del territorio. Viceversa con i PRG le amministrazioni comunali hanno previsto un costante incremento delle aree edificabili; quindi un maggior consumo di territorio, anche laddove esistevano ampie possibilità di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente (centri storici in primis).

Con il ricorso alle DIA (Dichiarazioni di Inizio Attività), inoltre, è diminuita la vigilanza sull’attività edilizia, con pesanti ripercussioni sulla qualità architettonica degli interventi. Con il nuovo Piano torna un livello intermedio tra quello della pianificazione provinciale e quello dei piani regolatori comunali. Tale funzione, un tempo svolta dai Comprensori, verrà esercitata da un nuovo ente – istituito con la riforma istituzionale del 2006 (L.P. 3/2006) -, la Comunità di Valle, un organismo non previsto dalla Costituzione e che deve ancora decollare. A queste comunità la Provincia Autonoma di Trento delega non solo competenze che ora sono in capo ai Comuni, ma anche competenze gestite fino a questo momento dalla Provincia. Si prevede cioè un trasferimento di deleghe che riguardano la gestione di settori strategici per l’equilibrio del territorio in termini di sicurezza, tutela del paesaggio e conservazione della biodiversità, senza inserire nella normativa provinciale punti fermi sufficienti, lasciando di conseguenza ampia discrezionalità alle comunità locali.

La cosa è stata presentata nel dibattito politico locale come una “flessibilizzazione” degli strumenti urbanistici, una democratizzazione della gestione del territorio.

Se la flessibilità non sarà coniugata con i criteri di responsabilità e competenza si rischia di andare verso una fase di anarchia urbanistica, dove ogni territorio potrà utilizzare le linee guida, che comunque il PUP fornisce, declinandole in modo assolutamente diversificato. Quindi potremmo trovarci in Trentino con 15 modi diversi (quante saranno le comunità di valle) di applicazione dei criteri generali. E qui rischiamo di avere una maggiore pressione dei gruppi di interesse locali, che possono avere gioco facile nell’influire sul lavoro degli organi delle comunità (presidente, giunta esecutiva, assemblea), che non saranno nemmeno eletti direttamente dai cittadini.

Nei provvedimenti legislativi di applicazione del PUP (Norme d’attuazione e Legge urbanistica) tutto ciò che riguarda la vigilanza, il controllo, la verifica del rispetto delle linee guida per un governo del territorio veramente sostenibile non trova una definizione chiara e vincolante. Si lasciano ampi spazi di manovra a coloro che dovranno redigere i Piani territoriali delle comunità. La cosa ci preoccupa proprio sulla base dell’esperienza della gestione comunale ricordata prima. Ci sono degli esempi che ci fanno capire cosa potrà accadere, come quello dell’espansione delle aree sciabili. L’articolo 35 delle Norme d’attuazione prevede la possibilità di “modificare, anche in maniera sostanziale, i perimetri delle aree sciabili” previsti dal PUP.

Finora ciò che veniva fissato nella cartografia del piano non poteva essere modificato da strumenti di pianificazione subordinata, adottati da enti inferiori alla Provincia. Tutto ciò viene capovolto. Temo che il nuovo PUP sia più uno strumento di programmazione economica che un piano urbanistico, orientato verso un sviluppo quasi senza limiti, in una fase in cui – io credo – sarebbe necessario cominciare a discutere di concetti come la “decrescita”, con i quali si fa il punto su che cos’è questo territorio, su quali sono le esigenze vere dei suoi cittadini, di quali sono i limiti concreti che il territorio pone.

Istituzione della "Fondazione Museo storico del Trentino" - Osservazioni

data: 
Dom, 08/10/2006

 

Vorrei richiamare la vostra attenzione e quella dell'opinione pubblica trentina su un tema – l'istituzione della “Fondazione Museo storico del Trentino” – che tornerà d'attualità la prossima settimana con la discussione della legge finanziaria provinciale (ddl 198).

In questa sede più che soffermarmi sul merito della questione, vorrei avanzare alcune osservazioni critiche sulle modalità con cui la Giunta Provinciale di Trento ha promosso la costituzione di questa nuova fondazione.

Come ricorderete la proposta di trasformazione del “Museo storico in Trento” – associazione culturale onlus – nella fondazione denominata “Museo storico del Trentino” è contenuta nel disegno di legge n° 118 ( Disciplina delle attività culturali ), depositato dall'assessore provinciale Margherita Cogo il 20 giugno 2005 e non ancora discusso dalla Quinta Commissione permanente del Consiglio Provinciale.

Ora l'apposito articolo (n°26) del disegno di legge Cogo è stato inserito pressoché identico nella legge finanziaria (articolo 11, comma 7). L'unica modifica sostanziale riguarda l'indicazione delle risorse finanziarie – 150.000 euro - conferite dalla Provincia Autonoma di Trento per il fondo di dotazione della fondazione.

La domanda che sorge spontanea è questa: perché estrapolare l'istituzione della fondazione dallo specifico – per quanto inadeguato – disegno di legge sulla disciplina delle attività culturali ed inserirla nel calderone della finanziaria?

Forse per evitare i rischi di una bocciatura del ddl 118, come più volte minacciato dalle forze della minoranza in Consiglio provinciale o forse per evitare il confronto con quegli studiosi o quelle istituzioni culturali che sul tema hanno espresso riserve e perplessità?

L'inserimento del provvedimento all'interno della legge finanziaria – ed è la cosa più grave – avviene senza che ci sia stata un'audizione da parte della Seconda Commissione permanente di coloro che si occupano – anche ai massimi livelli – di ricerca storica in Trentino.

Cito solo tre esempi: il Centro per gli Studi storici italo-germanici dell'ITC; l'Accademia Roveretana degli Agiati, la Società di Studi Trentini di Scienze Storiche. Nessuno dei responsabili di queste tre importanti istituzioni è stato consultato in merito alla costituzione della fondazione “Museo storico del Trentino”, come mi hanno confermato ieri pomeriggio il prof. Rusconi, il prof. Caffieri e la prof.ssa Garbari.

Dopo questa mia denuncia auspico che il Consiglio Provinciale voglia stralciare dalla finanziaria il comma 7 dell'articolo 11 e mi auguro che su questo importante tema culturale il Presidente Dellai voglia riaprire un dibattito con la società civile trentina.

Cordiali saluti

Salvatore Ferrari
storico dell'arte e vicepresidente della sezione trentina di Italia Nostra onlus

 
 Aggiornato il 8 ottobre 2006

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