biologo Luca Pedrotti

Contro la caccia al cervo nel Parco Nazionale dello Stelvio.

data: 
Sab, 29/12/2007

Abbiamo Finalmente! Finalmente si può sparare anche all’interno del settore trentino del Parco dello Stelvio, l’ultimo angolo della nostra Provincia, assieme alle aree demaniali, dove gli animali potevano non temere le scariche di piombo. Era ora che questa antidemocratica e sconsiderata prerogativa fosse eliminata. Il Comitato di gestione del settore trentino del Parco, nella riunione del 20/12/2007, ha approvato la proposta dove, tra varie iniziative, è previsto (come regalo di Natale!) di sparare ai cervi che vivono all’interno del Parco stesso. L’ordine del giorno prevedeva, al terzo punto: “Illustrazione progetto “Cervo” e proposte di azione in merito”. Il responsabile scientifico del Parco dello Stelvio, il biologo Luca Pedrotti, ha presentato con approfondita analisi i risultati di una corposa indagine denominata Progetto Cervo. Tra le interessanti informazioni che l’indagine fornisce le più eclatanti sono: l’alta numerosità di cervi all’interno del Parco, lo squilibrio tra la presenza di cervi all’interno del Parco e fuori Parco (Valle di Sole), la scarsa efficacia ai fini della riduzione della popolazione di cervi della strategia finora adottata che, in pratica, consisteva nell’aumentare le quote di abbattimento dei cervi all’esterno del Parco. Infatti, il risultato ottenuto è stato quello di modificare il comportamento migratorio dei cervi, inducendoli, prudentemente, a non uscire dai confini dell’area protetta e, di conseguenza, aumentare l’affollamento.

La suddetta indagine elenca tre alternative per il “Piano di gestione e controllo” da proporre alla decisione del Consorzio del Parco. La prima proposta prevede di accettare che all’interno del Parco la popolazione di cervi possa evolversi liberamente. A questo riguardo c’è da considerare che dopo il 2001 il numero degli animali è rimasto pressoché costante. Si sono, infatti innescati fenomeni sia che limitano il tasso di natalità (in relazione alla densità dei cervi), sia che aumentano la mortalità (in relazione alle condizioni ambientali difficili). Il rapporto testualmente recita:
“Gli accrescimenti della popolazione all’interno dell’area protetta sono quindi attualmente guidati da meccanismi naturali di autoregolazione della specie”.
Domanda: qual è, allora, l’urgenza di abbattere centinaia di cervi?

La seconda proposta prevede la diminuzione della densità del cervo, ma senza attuare abbattimenti all’interno dell’area protetta. Questo comporta “un impegno diretto del Parco nel territorio di cambiamento progressivo delle attuali modalità di gestione del cervo in Val di Sole”. Questa proposta che potrebbe essere tra le tre, la migliore, non viene presa in alcuna considerazione.
L’ultima proposta, quella votata quasi all’unanimità dal Comitato, prevede l’abbattimento dei cervi all’interno del Parco.
Essa è l’alternativa più facile, più semplice, più radicale, quella che sicuramente richiede meno impegno, meno creatività, meno pazienza: ci si rifiuta, dunque, di sperimentare strategie alternative alla eliminazione degli animali.

Ma quali sono le garanzie che le uccisioni di centinaia di cervi all’interno del Parco inducano gli stessi a migrare all’esterno dove, peraltro, troverebbero altri “amorevoli cacciatori” ad attenderli. Non si corre il rischio che neanche con gli abbattimenti ripetuti si riesca a centrare uno dei principali obiettivi da raggiungere: il riequilibrio tra la densità dei cervi all’interno e all’esterno dell’area protetta?

Si è cercato di far passare la scelta degli abbattimenti come l’unica strategia possibile, certi del favore dei cacciatori e di coloro che subiscono danni da parte dei cervi, danni, peraltro, rimborsati dal Parco. Non si sono voluti esplorare percorsi meno cruenti. Neppure si è tentato di sperimentare interventi, magari meno drastici in tempi stretti, bensì più efficaci in tempi più distesi. Ad esempio l’introduzione della lince, la cattura e il trasferimento di un certo numero di animali, l’uso di sostanze anticoncezionali, la creazione di corridoi e di aree di tranquillità permanenti all’esterno dell’area protetta dove la caccia sia interdetta.
Nessuna di queste proposte da sola può risolvere il problema, ma messe in atto tutte assieme, sperimentando e monitorando i risultati, potrebbero evitare la mattanza di centinaia e centinaia di cervi.

Tutti i frequentatori dei parchi amano, tra tutte le belle cose offerte, il poter avvistare e prendere contatto con gli animali selvatici. Tutti noi abbiamo provato la gioia e l’emozione profonda che procura l’osservazione degli animali in libertà, gioia ed emozione alquanto diverse dal rimirare un polveroso trofeo appeso alla parete. Attualmente, è facile per i visitatori osservare i cervi intenti nelle loro attività, soprattutto nella stagione post invernale e nel periodo del bramito. Il cervo, però, è un animale molto sensibile e intelligente: se cacciato, esso acquisisce abitudini notturne, rendendosi in pratica invisibile. La perdita della possibilità di osservare con facilità gli animali selvatici non "spaventati”, renderà meno forte l’attrattiva turistica del Parco e di conseguenza ne ridurrà la frequentazione.

Il dott. Pedrotti, alla fine della sua esposizione, ha comunicato che, recentemente, la lince è stata avvistata nel Parco nazionale svizzero e che il lupo è stato avvistato all’Aprica. Ciò è come dire che, fra non molto, questi due predatori arriveranno nel Parco “con le loro gambe”.
Domanda: perché non avere pazienza ed aspettare che il controllo della popolazione dei cervi avvenga naturalmente? Nel frattempo il Parco potrebbe “aiutare” questo processo utilizzando opportune strategie, provvedendo, nel frattempo, a risarcire i danni (come peraltro già sta facendo) causati dalla numerosa presenza di cervi.

Ci sembra infine doveroso rilevare come il popolamento di cervi in tutto il Trentino sia stato reso possibile per la presenza del Parco Nazionale dello Stelvio e del Parco di Paneveggio, dai quali si è diffusa la specie a causa del sovrapopolamento nei Parchi e quindi di naturale ricerca di ambienti di minore concorrenzialità.
Ovvio che per favorire questa migrazione è negativo l’aumento dell’ attività venatoria a ridosso dei confini del Parco, come già avvenuto negli anni scorsi.

Trento, 29 dicembre 2007

Dario Zuccarelli

Segretario della sezione trentina di Italia Nostra onlus

Membro del comitato di gestione
del settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio

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