Piano urbanistico provinciale

Osservazioni Italia Nostra alla proposta di modifica della Legge urbanistica provinciale

data: 
Mar, 15/04/2014

Questa mattina (15 aprile) il presidente Toffolon e il vicepresidente Chini hanno partecipato all'audizione in Terza commissione permanente del  Consiglio provinciale in merito al disegno di legge 19/2014 relativo alla modifica della Legge urbanistica provinciale.

In allegato il testo delle nostre osservazioni e il comunicato predisposto dall'ufficio stampa del Consiglio provinciale.

Salvatore Ferrari

Il cemento flessibile.

data: 
Ven, 21/12/2007

 

Intervista pubblicata su “CartaQui EstNord” (p.7)
supplemento del settimanale “Carta: cantieri sociali”
21 dicembre 2007 (n. 45)

di Roberto Antolini

Il Trentino ha una lunga tradizione di avanzate sperimentazioni nel campo degli strumenti urbanistici. Risale al 1964 la prima legge di governo complessivo del territorio, e nel 1967 è arrivato il primo Piano urbanistico provinciale [Pup]. Ma ciononostante [evidentemente la teoria non era stata praticata nel modo migliore] nel 1985 avviene il disastro di Stava: crollano i bacini di un impianto industriale e travolgono 268 persone.

Una ondata di riformismo ambientale ha investito in un primo tempo la Provincia autonoma di Trento, e nel quinquennio 1988-1991 – dopo la revisione del Pup votata nel 1987 – è stato votato un pacchetto di leggi avanzate sulla tutela del territorio. Ma è durata poco, e gli esiti raggiunti sono stati un po’ svuotati da una gestione accomodante.

“Mancò nella legislatura prodotta – dice oggi l’assessore all’ambiente di allora Walter Micheli – una regola essenziale, quella in grado di tutelare le previsioni del piano dalle eversive rivendicazioni dei localismi diffusi che erodevano la possibilità di raggiungere gli obiettivi del piano”. L’attuale giunta Dellai ha spesso dimostrato un fastidio sostanziale per le norme di tutela, finendo l’opera di svuotamento con una proposta di revisione del Pup tutta imperniata sul criterio della “flessibililizzazion”, dove alle nobili premesse teoriche rischia di corrispondere uno svuotamento dall’interno della normatività stessa degli strumenti urbanistici.

Ne parliamo con Salvatore Ferrari, vicepresidente di Italia Nostra trentina.
Italia Nostra è critica con questa revisone del Piano Urbanistico Provinciale (PUP) del Trentino, perché?

Questo terzo PUP arriva con quasi 10 anni di ritardo. Il PUP del 1987 doveva avere durata decennale, e quindi negli anni 97/98 si sarebbe dovuto farne un bilancio, da cui trarre le indicazioni per la revisione. La revisione invece arriva solo oggi, con l’adozione definitiva da parte della Giunta Provinciale lo scorso 7 settembre, mentre all’inizio del 2008 il PUP passerà in Consiglio Provinciale per l’approvazione finale.

Parallelamente la Giunta ha presentato un disegno di legge di revisione della legge urbanistica provinciale, che ridefinirà gli strumenti di pianificazione e governo del territorio. Quella in vigore fu approvata nel 1991 e aveva tra i punti fondanti il trasferimento di alcune competenze urbanistiche ai Comuni, togliendole ai Comprensori – enti amministrativi intermedi – che l’avevano gestite a partire dagli anni Settanta.
Agli inizi degli anni ’90 la soppressione dell’ente comprensoriale sembrava imminente e quindi si era pensato di passare ai Comuni queste deleghe, però con un obiettivo che – ahimè – non è andato in porto: la pianificazione urbanistica sovracomunale. Purtroppo sono stati pochissimi i piani regolatori generali intercomunali! Dopo 16 anni di applicazione della L.P. 22/1991 credo si possa evidenziare il fallimento di questo esperimento.

Gran parte dei comuni trentini, soprattutto i più piccoli, privi di competenze specifiche, di strutture tecniche adeguate, ma anche di cultura della pianificazione urbanistica, non hanno certo favorito uno sviluppo sostenibile del territorio. Viceversa con i PRG le amministrazioni comunali hanno previsto un costante incremento delle aree edificabili; quindi un maggior consumo di territorio, anche laddove esistevano ampie possibilità di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente (centri storici in primis).

Con il ricorso alle DIA (Dichiarazioni di Inizio Attività), inoltre, è diminuita la vigilanza sull’attività edilizia, con pesanti ripercussioni sulla qualità architettonica degli interventi. Con il nuovo Piano torna un livello intermedio tra quello della pianificazione provinciale e quello dei piani regolatori comunali. Tale funzione, un tempo svolta dai Comprensori, verrà esercitata da un nuovo ente – istituito con la riforma istituzionale del 2006 (L.P. 3/2006) -, la Comunità di Valle, un organismo non previsto dalla Costituzione e che deve ancora decollare. A queste comunità la Provincia Autonoma di Trento delega non solo competenze che ora sono in capo ai Comuni, ma anche competenze gestite fino a questo momento dalla Provincia. Si prevede cioè un trasferimento di deleghe che riguardano la gestione di settori strategici per l’equilibrio del territorio in termini di sicurezza, tutela del paesaggio e conservazione della biodiversità, senza inserire nella normativa provinciale punti fermi sufficienti, lasciando di conseguenza ampia discrezionalità alle comunità locali.

La cosa è stata presentata nel dibattito politico locale come una “flessibilizzazione” degli strumenti urbanistici, una democratizzazione della gestione del territorio.

Se la flessibilità non sarà coniugata con i criteri di responsabilità e competenza si rischia di andare verso una fase di anarchia urbanistica, dove ogni territorio potrà utilizzare le linee guida, che comunque il PUP fornisce, declinandole in modo assolutamente diversificato. Quindi potremmo trovarci in Trentino con 15 modi diversi (quante saranno le comunità di valle) di applicazione dei criteri generali. E qui rischiamo di avere una maggiore pressione dei gruppi di interesse locali, che possono avere gioco facile nell’influire sul lavoro degli organi delle comunità (presidente, giunta esecutiva, assemblea), che non saranno nemmeno eletti direttamente dai cittadini.

Nei provvedimenti legislativi di applicazione del PUP (Norme d’attuazione e Legge urbanistica) tutto ciò che riguarda la vigilanza, il controllo, la verifica del rispetto delle linee guida per un governo del territorio veramente sostenibile non trova una definizione chiara e vincolante. Si lasciano ampi spazi di manovra a coloro che dovranno redigere i Piani territoriali delle comunità. La cosa ci preoccupa proprio sulla base dell’esperienza della gestione comunale ricordata prima. Ci sono degli esempi che ci fanno capire cosa potrà accadere, come quello dell’espansione delle aree sciabili. L’articolo 35 delle Norme d’attuazione prevede la possibilità di “modificare, anche in maniera sostanziale, i perimetri delle aree sciabili” previsti dal PUP.

Finora ciò che veniva fissato nella cartografia del piano non poteva essere modificato da strumenti di pianificazione subordinata, adottati da enti inferiori alla Provincia. Tutto ciò viene capovolto. Temo che il nuovo PUP sia più uno strumento di programmazione economica che un piano urbanistico, orientato verso un sviluppo quasi senza limiti, in una fase in cui – io credo – sarebbe necessario cominciare a discutere di concetti come la “decrescita”, con i quali si fa il punto su che cos’è questo territorio, su quali sono le esigenze vere dei suoi cittadini, di quali sono i limiti concreti che il territorio pone.

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