Parchi e riserve naturali

Tutto ciò che riguarda le aree protette trentine e non

Perché non creare un parco adeguato a Borgo Sacco? - Lettera aperta all'assessore Grisenti

data: 
Mar, 01/11/2005

 

Lettera aperta all'assessore alle Opere pubbliche, Protezione civile, Autonomie locali: Silvano Grisenti
PERCHE’ NON CREARE UN PARCO ADEGUATO A BORGO SACCO, NELL’AREA EX ALPE?

Borgo Sacco antico, operoso abitato di Rovereto, chiuso tra ferrovia ad est e fiume Adige ad ovest.
Il nucleo d’antica origine s’addensa in sponda sinistra, vicino al ponte; a questo si accostano e si estendono fino alla ferrovia, residenze, edifici industriali ed artigianali, chiese, cantine e ville nobiliari.

L’insieme è nel complesso armonioso, ricco di elementi stimolanti, di lembi di verde, penetrato dalle campagne coltivate a vite. Quello che manca è un’area verde, centrale, sufficientemente ampia, dove la popolazione possa trovare in piena libertà ristoro, dialogo, serenità. Di quanto queste strutture di aggregazione e di distensione siano necessarie, per il riequilibrio fisico e psichico, sono testimoni purtroppo i recenti episodi di violenza popolare. I casoni dormitorio, ma anche le casette a schiera ermeticamente recintate, non soddisfano certo gli abitanti, chiusi in piccole prigioni private, fonte di conflitti e di incomunicabilità.
Perché quindi l’amministrazione comunale di Rovereto non risponde alle giuste richieste degli abitanti di Borgo Sacco e propone invece un insoddisfacente compromesso tra parco e edilizia popolare?

Tanto più che l’area ex Alpe è di proprietà comunale, situazione assai rara, in quanto in genere le aree dismesse cadono inesorabilmente in mano ai soliti imprenditori; poiché l’edilizia popolare è assai più proficuo realizzarla recuperando l’esistente e perché il costo di trasformazione in parco può essere contenuto, in quanto i parchi più godibili sono quelli meno strutturati; semplici prati, armoniosamente configurati, con rade alberature.
Un esempio assai significativo si trova nel centro di Trento, nell’area dell’ex Ospedale S.Chiara, là dove negli anni settanta il movimento popolare, ma anche la lungimiranza dei politici di allora, seppero trasformare un’area prevista a centro direzionale (250.000 mc di edificato previsto), in luogo destinato a vero godimento collettivo.

Nella speranza quindi che anche a Borgo Sacco il coraggio e la ragione prevalgano, la Sezione Trentina di Italia Nostra chiede alla popolazione di Rovereto una forte attenzione al referendum di domenica 13, per non lasciarsi sfuggire un’importante occasione di crescita di civiltà per l’intera città. Sarebbe bello e positivo, infine, se i cittadini di Borgo Sacco, i primi interessati, per testimoniare la loro convinzione sulla necessità del parco pubblico, organizzassero una sottoscrizione per coprire almeno una parte delle spese necessarie.

Per la Sezione Trentina di Italia Nostra
Il Presidente Paolo Mayr

Aggiornato il 10 dicembre 2005

Parco di Paneveggio - Lettera al neo-eletto Presidente

data: 
Lun, 03/10/2005

Egregio Presidente,

mi sento in dovere di scrivere queste righe in seguito a quanto avvenuto durante l’ultima assemblea del Comitato di Gestione del Parco di Paneveggio Pale di S. Martino. In tale occasione, oltre alla Sua nomina a Presidente, si è anche proceduto alla nomina dei nuovi rappresentanti delle Amministrazioni comunali in seno alla Giunta del Parco. Svolte queste incombenze ha preso la parola il dr. Sartori, direttore del Parco, per annunciare la sua potenziale nomina a direttore di un parco nazionale, nomina condizionata ad un suo assenso entro il 24 ottobre p.v..

Questa notizia è caduta nel silenzio: né Lei né alcuno degli astanti (se si esclude la vo-ce degli ambientalisti) ha, anche solo per cortesia, mostrato un segno di dispiacere o di preoccupazione per il futuro del Parco che siamo chiamati ad amministrare.

Il Parco, nel caso che il dr. Sartori accettasse tale nomina, si troverebbe quindi senza una guida e una memoria storica che possa aiutare noi amministratori, molti dei quali finora estranei alle vicende del Parco, nello svolgere al meglio il nostro compito.

È cosa risaputa che dalla sua istituzione il Parco di Paneveggio è molto cresciuto, diventando una realtà concreta e ben definita sia nella comunità locale che nazio-nale ed internazionale, trovando una sua collocazione anche in ambito scientifico. Chi è attento osservatore sa infatti delle numerose pubblicazioni, delle collaborazioni con atenei e del crescente numero di laureandi che svolgono il loro tirocinio o la tesi presso il Parco. Tutto ciò si deve in gran parte all’opera del dr. Sartori che in questi 14 anni ha saputo caratterizzare e delineare le linee guida lungo le quali il Parco si è mosso, in osservanza ai criteri per la gestione stabiliti dalla legge istitutiva dei parchi provinciali. Persona competente e professionalmente preparata ha permesso contemporaneamente che il Parco diventasse una realtà viva e presente nel territorio.

Molti giovani locali hanno avuto, grazie al Parco, la possibilità di trovare un impiego idoneo alle loro attitudini, molte strutture sono state recuperate e riqualificate. Molto denaro è potuto circolare ed essere utilizzato per salvaguardare un bene che è sì di tutti i residenti nei comuni del Parco, ma che non è un loro bene esclusivo perché, proprio per il suo elevato valore ambientale, appartiene ad ogni cittadino che ne voglia godere in modo rispettoso. Molti sono infatti i turisti che scelgono di trascorrere in questa zona le loro vacanze anche perché a conoscenza della presenza di un parco naturale. E moltissime sono le proposte turistiche offerte dagli Organismi e dagli imprenditori privati che propongono il Parco come un valore aggiunto.

 La mia preoccupazione è che, nel caso il dr. Sartori si trovi costretto ad accettare la proposta del Ministro, il nuovo Comitato, la nuova Giunta e il nuovo Presidente del Parco perdano un punto di riferimento nella gestione accorta del patrimonio naturale e che, nell’attesa si trovi un sostituto idoneo alla carica di direttore, si resti in balia di interessi forti, ben rappresentati in seno agli organi istituzionali del Parco, non sempre conciliabili con le finalità per cui un Parco Naturale è stato istituito e che, purtroppo, possono minare il senso stesso della sua esistenza.

Distinti saluti.

Taziarga Lorenzet
rappresentante di Italia Nostra

Aggiornato il 25 ottobre 2005

Gestione Parco dello Stelvio

data: 
Mar, 06/03/2007

 

Progetto di modifica dell’attuale assetto gestionale del Parco Nazionale dello Stelvio

Il Presidente nazionale di Italia Nostra Carlo Ripa di Meana ha già avuto modo di sottolineare, in un intervento del 17 novembre scorso, la preoccupazione con cui tutte le associazioni ambientaliste italiane hanno accolto le indiscrezioni sulle ipotizzate modifiche all’attuale gestione consortile del Parco nazionale dello Stelvio.

Una preoccupazione che deriva dal lungo e tormentato iter avuto nei decenni passati dalla legislazione che regola il parco, superato nel 1992 con l’avvio del Consorzio. Un’esperienza che solo da pochi anni comincia a dare i buoni frutti nel delicato, ma sempre precario equilibrio individuato tra le istanze di tutela, di partecipazione, di efficacia gestionale.

Ci è giunta notizia che malgrado le preoccupazioni espresse, la Commissione paritetica dei 12 starebbe comunque per varare nei prossimi giorni una norma di modifica che altererebbe in maniera radicale la situazione vigente. Partendo dall’apprezzabile intento di superare alcune incongruenze operative verificate nel corso degli anni, con tale provvedimento si rimetterebbero in discussione elementi essenziali della gestione unitaria del parco, la rappresentatività degli organi di gestione, con la possibilità concreta di ritardare o di rimettere in discussione lo stesso iter del piano del parco.

Intendiamo esprimere al Signor Presidente e a tutti i componenti la Commissione l’apprensione vivissima del mondo ambientalista - che ha concorso in questi anni a proporre ed assicurare un’apprezzabile organizzazione della vita del Parco dello Stelvio - per le possibili ricadute negative che le modifiche che si intendono apportare potrebbero provocare.
Il rischio è quello di vanificare un clima di disponibilità e di collaborazione, elemento imprescindibile nella gestione della più importante area di tutela alpina del nostro paese. Per questo ci permettiamo di chiedere che prima del varo di un’ eventuale modifica dell’attuale sistema di gestione, le associazioni ambientaliste ed eventualmente gli altri mondi rappresentati nel Consiglio direttivo del Parco e nei Comitati di gestione, possano trovare udienza presso la Commissione per illustrare le loro motivate apprensioni e meglio comprendere la stessa portata del provvedimento ipotizzato.

Trento, 6 marzo 2007

Ing. Paolo Mayr Presidente della sezione trentina di Italia Nostra onlus


COMUNICATO STAMPA ITALIA NOSTRA NAZIONALE RIPA DI MEANA:

“Italia Nostra contro lo smembramento del Parco dello Stelvio” Un piccolo decreto infilato fra le pieghe dello scontro sulla Finanziaria e lo storico Parco dello Stelvio sarà smembrato. La decisione verrà presa nei prossimi giorni dall’apposita Commissione dei Dodici, poi si procederà alla modifica legislativa. Italia Nostra e WWF hanno già espresso in sede locale le loro critiche a questo orientamento. Il presidente nazionale di Italia Nostra, Carlo Ripa di Meana giudica “radicalmente sbagliata e pericolosa la decisione che in pratica provincializzerebbe la gestione del Parco dello Stelvio mettendola di fatto in mano alle due Provincie autonome di Trento e Bolzano e alla Regione Lombardia. Così facendo, infatti, scomparirebbe la centralità del ruolo dello Stato”. “Il riassetto amministrativo – secondo Ripa di Meana – realizzato in nome dell’autonomia, ha in realtà lo scopo di un progressivo abbandono, anche nelle aree protette, dei valori di tutela ambientale, ormai subordinati agli interessi dell’industria turistica. Basti ricordare alcuni devastanti progetti di grandi impianti sciistici che una volta realizzati snaturerebbero il Parco”. “Proprio per questo – termina Ripa di Meana – gli organismi dirigenti nazionali di Italia Nostra chiedono formalmente alla Commissione dei Dodici di non procedere a tale sciagurata decisione”.

Roma, 17 novembre 2006

 
 Aggiornato il 8 giugno 2007

Contro la caccia al cervo nel Parco Nazionale dello Stelvio.

data: 
Sab, 29/12/2007

Abbiamo Finalmente! Finalmente si può sparare anche all’interno del settore trentino del Parco dello Stelvio, l’ultimo angolo della nostra Provincia, assieme alle aree demaniali, dove gli animali potevano non temere le scariche di piombo. Era ora che questa antidemocratica e sconsiderata prerogativa fosse eliminata. Il Comitato di gestione del settore trentino del Parco, nella riunione del 20/12/2007, ha approvato la proposta dove, tra varie iniziative, è previsto (come regalo di Natale!) di sparare ai cervi che vivono all’interno del Parco stesso. L’ordine del giorno prevedeva, al terzo punto: “Illustrazione progetto “Cervo” e proposte di azione in merito”. Il responsabile scientifico del Parco dello Stelvio, il biologo Luca Pedrotti, ha presentato con approfondita analisi i risultati di una corposa indagine denominata Progetto Cervo. Tra le interessanti informazioni che l’indagine fornisce le più eclatanti sono: l’alta numerosità di cervi all’interno del Parco, lo squilibrio tra la presenza di cervi all’interno del Parco e fuori Parco (Valle di Sole), la scarsa efficacia ai fini della riduzione della popolazione di cervi della strategia finora adottata che, in pratica, consisteva nell’aumentare le quote di abbattimento dei cervi all’esterno del Parco. Infatti, il risultato ottenuto è stato quello di modificare il comportamento migratorio dei cervi, inducendoli, prudentemente, a non uscire dai confini dell’area protetta e, di conseguenza, aumentare l’affollamento.

La suddetta indagine elenca tre alternative per il “Piano di gestione e controllo” da proporre alla decisione del Consorzio del Parco. La prima proposta prevede di accettare che all’interno del Parco la popolazione di cervi possa evolversi liberamente. A questo riguardo c’è da considerare che dopo il 2001 il numero degli animali è rimasto pressoché costante. Si sono, infatti innescati fenomeni sia che limitano il tasso di natalità (in relazione alla densità dei cervi), sia che aumentano la mortalità (in relazione alle condizioni ambientali difficili). Il rapporto testualmente recita:
“Gli accrescimenti della popolazione all’interno dell’area protetta sono quindi attualmente guidati da meccanismi naturali di autoregolazione della specie”.
Domanda: qual è, allora, l’urgenza di abbattere centinaia di cervi?

La seconda proposta prevede la diminuzione della densità del cervo, ma senza attuare abbattimenti all’interno dell’area protetta. Questo comporta “un impegno diretto del Parco nel territorio di cambiamento progressivo delle attuali modalità di gestione del cervo in Val di Sole”. Questa proposta che potrebbe essere tra le tre, la migliore, non viene presa in alcuna considerazione.
L’ultima proposta, quella votata quasi all’unanimità dal Comitato, prevede l’abbattimento dei cervi all’interno del Parco.
Essa è l’alternativa più facile, più semplice, più radicale, quella che sicuramente richiede meno impegno, meno creatività, meno pazienza: ci si rifiuta, dunque, di sperimentare strategie alternative alla eliminazione degli animali.

Ma quali sono le garanzie che le uccisioni di centinaia di cervi all’interno del Parco inducano gli stessi a migrare all’esterno dove, peraltro, troverebbero altri “amorevoli cacciatori” ad attenderli. Non si corre il rischio che neanche con gli abbattimenti ripetuti si riesca a centrare uno dei principali obiettivi da raggiungere: il riequilibrio tra la densità dei cervi all’interno e all’esterno dell’area protetta?

Si è cercato di far passare la scelta degli abbattimenti come l’unica strategia possibile, certi del favore dei cacciatori e di coloro che subiscono danni da parte dei cervi, danni, peraltro, rimborsati dal Parco. Non si sono voluti esplorare percorsi meno cruenti. Neppure si è tentato di sperimentare interventi, magari meno drastici in tempi stretti, bensì più efficaci in tempi più distesi. Ad esempio l’introduzione della lince, la cattura e il trasferimento di un certo numero di animali, l’uso di sostanze anticoncezionali, la creazione di corridoi e di aree di tranquillità permanenti all’esterno dell’area protetta dove la caccia sia interdetta.
Nessuna di queste proposte da sola può risolvere il problema, ma messe in atto tutte assieme, sperimentando e monitorando i risultati, potrebbero evitare la mattanza di centinaia e centinaia di cervi.

Tutti i frequentatori dei parchi amano, tra tutte le belle cose offerte, il poter avvistare e prendere contatto con gli animali selvatici. Tutti noi abbiamo provato la gioia e l’emozione profonda che procura l’osservazione degli animali in libertà, gioia ed emozione alquanto diverse dal rimirare un polveroso trofeo appeso alla parete. Attualmente, è facile per i visitatori osservare i cervi intenti nelle loro attività, soprattutto nella stagione post invernale e nel periodo del bramito. Il cervo, però, è un animale molto sensibile e intelligente: se cacciato, esso acquisisce abitudini notturne, rendendosi in pratica invisibile. La perdita della possibilità di osservare con facilità gli animali selvatici non "spaventati”, renderà meno forte l’attrattiva turistica del Parco e di conseguenza ne ridurrà la frequentazione.

Il dott. Pedrotti, alla fine della sua esposizione, ha comunicato che, recentemente, la lince è stata avvistata nel Parco nazionale svizzero e che il lupo è stato avvistato all’Aprica. Ciò è come dire che, fra non molto, questi due predatori arriveranno nel Parco “con le loro gambe”.
Domanda: perché non avere pazienza ed aspettare che il controllo della popolazione dei cervi avvenga naturalmente? Nel frattempo il Parco potrebbe “aiutare” questo processo utilizzando opportune strategie, provvedendo, nel frattempo, a risarcire i danni (come peraltro già sta facendo) causati dalla numerosa presenza di cervi.

Ci sembra infine doveroso rilevare come il popolamento di cervi in tutto il Trentino sia stato reso possibile per la presenza del Parco Nazionale dello Stelvio e del Parco di Paneveggio, dai quali si è diffusa la specie a causa del sovrapopolamento nei Parchi e quindi di naturale ricerca di ambienti di minore concorrenzialità.
Ovvio che per favorire questa migrazione è negativo l’aumento dell’ attività venatoria a ridosso dei confini del Parco, come già avvenuto negli anni scorsi.

Trento, 29 dicembre 2007

Dario Zuccarelli

Segretario della sezione trentina di Italia Nostra onlus

Membro del comitato di gestione
del settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio

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