
Trento, 11.01.2025
LE NUOVE PASSERELLE DEI LAVINI: UN MOSTRO METALLICO APPOGGIATO SULLE PENDICI.
UN TERRITORIO GRAVEMENTE USURPATO.
Scempio su scempio, si continua ad offendere e a sfregiare inesorabilmente il paesaggio trentino, soprattutto là dove più notevoli sono i pregi ed i valori che lo caratterizzano.
Si rimane sconcertati dal fatto che ultimamente, per valorizzare i beni paesaggistico-ambientali, si mettono in atto progettazioni completamente insensibili al contesto, invasive, pesanti, specchio di arroganza e ignoranza.
Ma dov’è la Tutela della Provincia autonoma di Trento, tanto decantata in sede di conferenze e convegni, soprattutto fuori provincia?
Ma si tiene mai conto della normativa di settore in vigore o dell’assunto della Costituzione italiana, che all’art. 9 dichiara che la Repubblica tutela, insieme al patrimonio storico e artistico della Nazione, anche il paesaggio?
Quelli della salvaguardia sono concetti faticosamente elaborati nel corso degli ultimi 50 anni o ormai sono solo diventate parole-paravento che deliberatamente s’intende svuotare di senso?
Ciò che più sconcerta è che quella dei Lavini non è neppure un’opera a servizio di forti interessi economici, quelli che sempre più spesso vengono imposti anche a discapito del bene comune. Questa è un’opera che doveva essere “di servizio”, utile per poter percorrere quel territorio così prezioso, perché testimone della presenza dei dinosauri, duecento milioni di anni fa. Ma a maggior ragione in quanto portatrice di una funzione pubblica, quest’opera non poteva prescindere da una progettazione rispettosa dei luoghi.
La progettazione è un’operazione che richiede competenza, cultura e sensibilità. Non basta il puro tecnicismo per operare sul paesaggio, ma è indispensabile un’attenta capacità di lettura del contesto, di valutazione dei pregi, di conoscenza e di rispetto dei limiti. È operazione che sottende la capacità di definizione di princìpi progettuali e di linee-guida sul possibile inserimento nel luogo di forme, volumi, materiali. Solo successivamente è possibile tracciare le soluzioni più consone.
Questo caso increscioso dimostra invece che tutte le considerazioni sul contesto sono state omesse, seguendo l’unica traccia progettuale di un percorso artificiale e artificioso, che vuole portare il visitatore a “dominare” il paesaggio da una posizione sopraelevata, per godere dall’alto della vista delle famose orme.
Una soluzione formale che dimostra un tecnicismo standardizzato, pesante, che ha forgiato forme spigolose e aggressive, dove la selva dei sostegni dei parapetti ci riporta l’immagine di una fitta presenza di “costolature” che si alzano appuntite verso il cielo.
È opportuno sottolineare l’importanza delle competenze: un paesaggista avrebbe senz’altro avuto un approccio più consono. In questo contesto il percorso avrebbe dovuto essere complanare al terreno, senza parapetti, e snodarsi armoniosamente lungo il tracciato. Una soluzione che avrebbe avuto anche un costo notevolmente inferiore. Ma, per assurdo, sembra ormai che le risorse economiche -che scarseggiano sempre quando si tratta di mettere in atto o riqualificare i servizi al cittadino o gli stipendi dei dipendenti pubblici – non debbano invece subire contenimenti nel caso di opere non indispensabili e fortemente invasive (un parallelo immediato, anche se in scala certamente superiore, è con la passerella della ciclovia del Garda).
Quanto realizzato risulta un intervento inaccettabile, un mostro appoggiato sulle pendici dei Lavini. Un affronto che chiediamo con forza di risanare immediatamente, nell’unico modo possibile: mediante lo smantellamento delle dure passerelle metalliche.
Italia Nostra sezione trentina – Il Consiglio direttivo
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Moena, 13.01.2025 Alla direzione de L’Adige
34 canto dell’Inferno. Dinosauri e devastazione del paesaggio naturale
Dante Alighieri, il massimo cultore della nostra lingua, ha omesso un canto nell’Inferno: quello riferito a quanti umiliano il paesaggio naturale. Ai suoi tempi non poteva immaginare una deriva tanto povera della progettazione umana: allora si stava entrando nell’epoca del sommo inno alla bellezza, riassunta nelle opere del Rinascimento italiano. Era impossibile concepire che la miseria umana potesse tradursi in una continua violenza sul paesaggio e sulla natura. E poi, il grande poeta avrebbe dovuto scardinare la perfezione della sua opera. Frantumare, come sanno ben fare le ruspe al giorno d’oggi e una sempre più agguerrita massa di ingegneri che alimentano la banalità dei loro progetti indirizzata al solo scopo funzionale dell’intervento, l’intera opera della Divina Commedia. Nel frantumare la struttura della sua opera avrebbe dovuto inventare lo “sgorbio” di un 34° Canto capace di sconvolgere la perfezione e armonia del 3 x 3 x 3.
I nuovi interpreti del paesaggio “di rottura, ci spiegano” ci impongono accanto alle ruine dantesche a Rovereto le opere in acciaio destinate a permettere la visita delle orme dei dinosauri. Un passaggio miracoloso non solo dovuto all’imposizione dell’acciaio, ma anche storico che ci porta in un viaggio di decine di migliaia di anni. Dalla preistoria all’antropocene più oscena.
Come accade in Nambino, a rifugio Santner, come accade in troppi “ponti tibetani” o vie ferrate, come accade nella violenza che si sta abbattendo sui centri storici del Trentino e sulle aree agricole di pregio. Il 34° girone dell’Inferno, per essere inserito nella Commedia italiana del sommo poeta, dovrebbe usufruire di una deroga che permetta sconfinamenti e fantasie progettuali tanto care al mondo ingegneristico trentino, ad amministratori, funzionari provinciali e comunali, definiamoli per carità di patria, solo disattenti. Ma le nostre amministrazioni, comunali e provinciali, lo sappiamo, sono sempre particolarmente attente al mondo delle deroghe, specialmente quando queste servono a imporre al territorio gli scempi più efferati. Perché quindi non stravolgere anche la Divina Commedia?
Luigi Casanova
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Trento, 20.01.2025
La passerella delle orme
Il tema della passerella sulle orme dei dinosauri sta facendo discutere. E questo è un bene. Meglio però sarebbe stato poterne discutere prima della messa in opera della struttura che, ribadiamo, offende il paesaggio e si sovrappone ad esso in modo artificioso, per nulla rispettoso, quasi grottesco.
Se l’amministrazione comunale di Rovereto “non ci sta” ad affrontare un logico momento di confronto perché si evidenzia nel momento in cui il progetto viene finalmente messo in luce, facciamo presente che il mancato tempismo non dipende certo dalle associazioni che s’interessano della salvaguardia territoriale e paesaggistica. Se l’analisi critica avviene solo ora dipende solo dal fatto che le amministrazioni pubbliche sono carenti sotto l’aspetto della condivisione di un percorso partecipativo che è stato mantenuto ben confinato entro le sedi istituzionali. “Tutto il percorso di concertazione è stato costruito nelle sedi apposite (infatti il progetto è passato al vaglio di tutte le sedi istituzionali”, conferma la sindaca, ma la domanda che poi si pone (“Ma perché le associazioni non incontrano i soggetti istituzionali?”) è quantomeno retorica. La risposta, scontatissima, la conosce già, ma forse è meglio esplicitarla: le associazioni si sono sempre dichiarate pronte ad incontri preventivi, hanno sempre auspicato la possibilità di interazione e di apporto delle competenze e delle sensibilità di cui sono portatrici, ma quando mai le istituzioni, tra cui il suo Comune, hanno aperto spazi e concesso tempi per una concertazione preliminare, ampia e condivisa?
Il valore del percorso partecipativo è sancito da norme ben precise, direttive europee e leggi nazionali recepite anche a livello provinciale, che per progetti di un certo impegno dovrebbero poter assicurare l’apporto di vari punti di vista, tra cui anche quelli della cittadinanza. Ma proprio in questo momento storico tali strumenti sono volutamente atrofizzati: la Cabina di regia delle aree protette è stata riunita una sola volta in più di due anni, l’Osservatorio del Paesaggio è bloccato da più di un anno dopo il pensionamento del dirigente e non c’è sentore della volontà di un suo rinnovo, tutte le decisioni sulle infrastrutture olimpiche sono state imposte attraverso commissariamenti.
Anche il caso della passerella sulle orme dei dinosauri, come quello similare della Ciclovia del Garda, dimostra che gli amministratori pubblici tendono a trincerarsi dentro i “canali istituzionali” e fare barriera, per poi rigettare qualsiasi proposta di confronto con il pubblico per “scadenza del tempo massimo”.
La dichiarazione della sindaca Robol che “l’intervento in corso di realizzazione non può essere fermato o mitigato”, richiama il “noi tiriamo dritto” che ci siamo sentiti ripetere più volte nel corso di questi ultimi anni sulle richieste di sospensione e di modifica delle progettazioni di infrastrutture sul territorio.
Ma per ogni problema, per ogni tema, anche d’inserimento paesaggistico-architettonico, esistono diverse soluzioni, che dipendono dai princìpi che un’amministrazione si dà. Un progetto può essere più attento al contesto, o più performante sotto l’aspetto funzionale o più concentrato verso soluzioni formali e stilistiche oppure sull’economicità dell’intervento. Ma ogni progetto di opera pubblica deve valutare l’insieme di questi aspetti e definirne priorità, pesi e limiti.
L’alzata di scudi a cui stiamo assistendo da parte dell’amministrazione comunale e di alcuni sui sostenitori non ci convince perché non è sostenuta da contenuti sostanziali relativi alla valutazione della soluzione adottata. Non si parla di inserimento paesaggistico, né di analisi delle forme, né di contestualizzazione e di relazione con le presenze archeologiche. Tanto meno convince l’apprezzamento del presidente del Citrac che la sdogana come “opera ben fatta, utile e bella”, inserendola nel novero delle opere di “architettura contemporanea” solo perché realizzata oggi.
La nostra valutazione, che deriva anche da una competenza professionale specifica del settore, è assolutamente contrastante: è un’opera puramente tecnica, priva di valore architettonico, che s’impone su un paesaggio intatto, completamente naturale, caratterizzato dal grigio monocromo delle rocce, in parte a grandi conci smossi, in parte ad estese superfici sagomate e lisciate dal tempo.
Un’opera che segna sì il passaggio dell’uomo, ma di un uomo insensibile e prevaricatore, che con i suoi “segni” crea ferite.
Queste considerazioni vengono esposte e rese pubbliche al fine di poter fermare lo sfregio, perché questo è il loro ruolo statutario della nostra associazione.
Italia Nostra, costituita nel 1955, riconosciuta con Decreto del Presidente della Repubblica 22 agosto 1958 e tra le associazioni di cui alla Legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale), ha lo scopo di concorrere alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e naturale della Nazione e, in particolare, di garantire il riconoscimento dei diritti e degli interessi collettivi e diffusi relativi alla tutela del paesaggio e del patrimonio culturale e ambientale.
Perciò interveniamo, come portatori degli interessi collettivi.
Italia Nostra sezione trentina – Il Consiglio direttivo
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